La diffusione del COVID-19 ha sollevato una serie di problematiche sulla questione delle locazioni ad uso commerciale e della eventuale sospensione o riduzione del canone. Visto il tema delicato e ponderoso, abbiamo deciso di approfondire ciascun aspetto critico relativo all’argomento in una serie di pubblicazioni periodiche.

Il presente lavoro, redatto a oltre un anno dalla adozione dei provvedimenti emergenziali emanati in via d’urgenza dal legislatore, intende fare il punto della situazione alla luce delle prime pronunce della giurisprudenza di merito sulle principali questioni giuridiche sorte in relazione ai rapporti locatizi (temporanea riduzione del canone di affitto, risoluzione del contratto a uso commerciale, dovere di rinegoziazione degli effetti economici del rapporto, effetti sui contratti a uso abitativo e conseguenze sulla esecuzione dei provvedimenti di rilascio).

Di seguito viene affrontato il tema delle conseguenze momentanee che i provvedimenti legislativi possono generare sui rapporti locatizi in corso di esecuzione.

È il conduttore legittimato alla riduzione del canone di affitto a causa della normativa emergenziale da covid-19?

A seguito dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 il legislatore ha adottato misure straordinarie di contenimento della propagazione del virus per il tramite della chiusura di determinate attività commerciali e della restrizione della libera circolazione delle persone.

Il d.l. 23 febbraio 2020, n. 6 (Misure urgenti per evitare la diffusione del Covid-19), convertito con modificazioni in l. 5 marzo 2020, n. 13, ha disposto “la chiusura di tutte le attività commerciali esclusi gli esercizi commerciali per l’acquisto dei beni di prima necessità” (art. 1, lett. j), nonché “la sospensione delle attività lavorative per le imprese a esclusione di quelle che erogano servizi essenziali e di pubblica utilità e di quelle che possono essere svolte in modalità domiciliare” (art. 1, lett. n). Ulteriori misure restrittive sono state approvate nel corso del 2020 e trovano applicazione anche in questi primi mesi del 2021. Misure di contenimento ulteriori, anche in termini di limitazioni alla libera circolazione delle persone, sono state assunte anche a livello regionale.

La pandemia e le misure di contenimento imposte ex lege hanno pesanti riflessi sulle imprese e, nello specifico, sui rapporti locatizi di natura commerciale. Sintomatici i casi delle locazioni di locali commerciali funzionali a esercizi che sono stati chiusi d’imperio (bar, ristoranti, istituti di bellezza, palestre, piscine, centri sportivi, sale cinema etc.).

Riduzione canone: elenco dei provvedimenti legislativi connessi all’emergenza da covid-19 e l’impatto sulla sorte dei contratti di affitto

Va anzitutto precisato che solo marginalmente il legislatore è intervenuto per dettare una disciplina delle locazioni commerciali in corso alla data di approvazione delle misure emergenziali e che, in un certo qual modo, potesse rispondere alla finalità di contemperare le opposte esigenze dei titolari del rapporto (da una parte quello del locatore alla riscossione dei canoni di locazione e dall’altro quello del conduttore a non diventare unico soggetto a subire le conseguenze della chiusura delle attività imposta d’autorità).

Il d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. “Cura Italia”), convertito con modificazioni in l. 24 aprile 2020, n. 27, ha stabilito:

  1. A) All’art. 54 ter: “Al fine di contenere gli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, in tutto il territorio nazionale è sospesa, per la durata di sei mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare, di cui all’articolo 555 del codice di procedura civile, che abbia ad oggetto l’abitazione principale del debitore”. Il d.l. 28 ottobre 2020 n. 137 (cd. “Decreto Ristori”), convertito con Legge 18 dicembre 2020, n. 176, ha esteso il periodo di sospensione fino al 31 dicembre 2020;
  2. B) all’art. 91: “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti” (comma aggiunto all’art. 3 del d.l. 23 febbraio 2020, n. 6);
  3. C) all’art. 103, comma 6: “L’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, è sospesa fino al 1° settembre 2020”. Sospensione estesa al 31 dicembre 2020 dal d.l. 17 marzo 2020, n. 18 – cd. “Decreto Cura Italia – convertito con modificazioni in l. 24 aprile 2020, n. 27. Termine ulteriormente che l’art. 13, comma 13, d.l. 30 dicembre 2020, n. 183 (c.d. milleproroghe), convertito con modificazioni in Legge 26 febbraio 2021, n. 21, ha differito al 30 giugno 2021 “limitatamente ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze e (…)”.

Il d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (c.d. “Decreto rilancio”), convertito con modificazioni in l. 17 luglio 2020, n. 77, all’art. 216, comma 3, ha disposto:

la sospensione delle attività sportive, disposta con i decreto del presidente del consiglio dei ministri attuativi dei citati decreto legge 23 febbraio 2020 n. 6 e 25 marzo 2020, n. 19, è sempre valutata, ai sensi degli articoli 1256, 1464, 1467 e 1468 del codice civile, a decorrere dalla data di entrata in vigore degli stessi decreti attuativi, quale fattore di sopravvenuto squilibrio dell’assetto di interessi pattuito con il contratto di locazione di palestre, piscine o impianti sportivi di proprietà di soggetti privati.

In ragione di tale squilibrio il conduttore ha diritto, limitatamente alle cinque mensilità da marzo 2020 a luglio 2020, ad una corrispondente riduzione del canone locatizio che, salva la prova di un diverso ammontare a cura della parte interessata, si presume pari al cinquanta per cento del canone contrattualmente stabilito”.

COVID-19: può il conduttore ridurre autonomamente il pagamento del canone di locazione? Spunti di riflessione

La riscontrata crescente difficoltà delle imprese al pagamento dei canoni di locazione (oggettivamente dipendente dal prolungarsi dai periodi di chiusura imposti dal legislatore) non ha attenuato l’esigenza dei locatori alla riscossione dei canoni e non ha arrestato l’avvio di procedimenti di convalida di sfratto per morosità.

Dai primi interventi della giurisprudenza di merito si può osservare quanto segue.

Anzitutto che quando il legislatore, nell’emergenza pandemica, ha voluto introdurre la possibilità per le parti di rinegoziare le condizioni economiche del contratto ovvero il diritto del conduttore a chiedere la riduzione dei canoni di locazione, lo ha detto in maniera esplicita. Il che è avvenuto limitatamente a talune determinate categorie di soggetti in relazione ai contratti di locazione di palestre, piscine o impianti sportivi di proprietà di soggetti privati (v. art. 216, comma 3,d.l. 19 maggio 2020, n. 34).

Nessuna delle altre disposizioni emanate dal legislatore emergenziale autorizza il conduttore alla sospensione unilaterale del pagamento dei canoni della locazione sia nei rapporti locatizi a uso residenziale sia in quelli a uso commerciale anche quando l’attività esercitata sia risultata interdetta dai provvedimenti decretati d’urgenza. Pertanto, si è assistito a un susseguirsi di pronunce della giurisprudenza di merito tese a ribadire il principio per cui, anche in costanza di chiusure delle attività commerciali stabilite ex lege, non è consentito al conduttore (operatore commerciale impossibilitato a esercitare l’attività) di astenersi dal versare il canone di locazione ovvero di ridurlo autonomamente.

Trib. Roma, 29 maggio 2020 (ud. del 29 maggio 2020) ha rilevato:“(…) Quanto alla richiesta di sospensione, il richiamo alla normativa emergenziale, invero, non offre elementi nella direzione indicata dalla ricorrente: è sufficiente osservare, come del resto efficacemente dedotto da controparte, che non vi è alcuna norma di carattere generale che preveda una sospensione dell’obbligo di corrispondere i canoni di locazione. L’assenza, da un lato, di una norma generale che detti una disciplina per tutti i rapporti di durata e la presenza, dall’altro, di una miriade di regole speciali citate richiamate dalla stessa difesa della ricorrente (sospensione dei termini di versamento di alcune imposte; proroga dei termini di pagamento delle rate di mutuo e dei finanziamenti; sospensione dei termini processuali) impone di prendere atto che il legislatore ha inteso, in relazione a talune, pur numerose, fattispecie, assumere iniziative di agevolazione ma nulla ha voluto disporre in ordine al quantum ed al quando del pagamento dei canoni di locazione commerciale o di affitto di azienda. Non è dunque possibile applicare in questa sede alcuna norma sospensiva dell’obbligo di pagamento di canoni di affitto di azienda tratta dalla disciplina emergenziale ad oggi adottata, per la ragione – tanto semplice quanto decisiva – che una norma di tal fatta non esiste; non vi è di conseguenza spazio per una misura cautelare di mero differimento dei termini contrattuali di pagamento del canone di affitto di azienda (ed a maggior ragione della debitoria maturata nel periodo pregresso)”.

Dello stesso avviso Tribunale Roma 16 dicembre 2020 il quale ha ulteriormente precisato che “anche ove si ritenesse che l’equilibrio sinallagmatico fosse stato alterato in modo rilevante (…) a causa della situazione di emergenza epidemiologica da Covid 19, deve comunque osservarsi che lo stesso legislatore ha già adottato meccanismi compensatori idonei a ripristinare un equilibrio sinallagmatico, od a ridurne lo squilibrio” con ciò rendendo non esperibili nemmeno i diversi strumenti giuridici astrattamente utilizzabili per la correzione di eventuali alterazioni del sinallagma contrattuale (quali la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta totale della prestazione a carico del locatore, della riduzione del canone per impossibilità sopravvenuta parziale (sempre della prestazione a carico del locatore), della impossibilità temporanea per il conduttore di adempiere la prestazione posta a suo carico)”.

Né – come affermato da Trib. Pordenone, 3 luglio 2020 – a una diversa soluzione potrebbe condurre il richiamo dell’art. 91 del Decreto Cura Italia. Infatti, la norma si limita a introdurre l’assenza per il conduttore di obblighi di risarcimento danni e/o il maturare di decadenze o penali, ma non l’automatica sospensione sine die e/o la cancellazione dell’obbligo di versamento dei canoni d’affitto/locazione.

Trib. Tempio Pausania, 21 dicembre 2020, n. 298 ha rilevato che la sospensione totale o parziale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore (circostanza che il Tribunale non ha ritenuto provato nel caso in esame) è legittima solamente qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un’alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti.

Quindi, se da una parte i meccanismi compensatori previsti dal legislatore emergenziale autorizzano a ritenere che al conduttore non sia consentito unilateralmente sospendere il pagamento del canone di locazione ovvero ridurne, temporaneamente l’ammontare, dall’altra detta sospensione sarebbe astrattamente possibile solamente qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore.

Invece, la decretazione d’urgenza ha determinato una ipotesi del tutto peculiare di assenza della controprestazione del locatore contraddistinta dal fatto che, al venire meno della possibilità di esercizio dell’attività commerciale da parte del conduttore, è rimasta la facoltà di uso dei locali ancorché nella più limitata fruizione quali a uso di magazzino e/o di deposito merci. Tale mancanza non è, poi, definitiva ma è limitata nel tempo.

Il che ha indotto i primi commentatori a fare propria quella oramai granitica giurisprudenza (affermatasi per il caso di vizi della cosa locata che ne diminuiscano in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito) che non consente al conduttore di astenersi dal versare il canone di locazione ovvero di ridurlo unilateralmente. La cosiddetta autoriduzione del canone (e, cioè, il pagamento di questo in misura inferiore a quella convenzionalmente stabilita) costituisce fatto arbitrario e illegittimo del conduttore, che provoca il venir meno dell’equilibrio sinallagmatico del negozio anche nell’ipotesi in cui detta autoriduzione sia effettuata dal conduttore con il fine di ripristinare l’equilibrio del contratto, turbato dall’inadempimento del locatore e consistente nei vizi della cosa locata. Infatti, l’art. 1578 c.c. non dà facoltà al conduttore di operare alcuna autoriduzione; ma solo quella di domandare, necessariamente all’autorità giudiziaria, la risoluzione del contratto ovvero una riduzione del corrispettivo in quanto il potere di valutare l’importanza dello squilibrio tra le prestazioni dei contraenti è devoluto solamente al giudice (Cass. sez. 3, 26 giugno 2012 n. 10639).

La sospensione totale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore sarebbe legittima soltanto qualora venisse completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore. Per cui il conduttore che abbia continuato a godere dell’immobile, per quanto lo stesso presenti vizi sopravvenuti, non può sospendere l’intera sua prestazione (consistente nel pagamento del canone di locazione) perché così mancherebbe la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, potendo giustificarsi soltanto una riduzione del canone proporzionata all’entità del mancato godimento; quanto sopra in applicazione analogica dell’art. 1584 c.c., ovvero la richiesta di risoluzione del contratto per sopravvenuta carenza di interesse (nello stesso senso Cass. 12 maggio 2017 n. 11783; Cass. 17 dicembre 2014 n. 26540; Cass. 8.ottobre 2008 n. 24799; Cass. 11 aprile 2006 n. 8425; Cass. 3 aprile 2004 n. 7772; Cass. 18 giugno 1999 n. 6125; Cass. 5 ottobre 1998 n. 9863; Cass. 17 maggio 1983 n. 3411).

La sospensione del pagamento del canone deve infatti essere conforme a lealtà e buona fede (Cass. 10 gennaio 2008 n. 261). Il che è da escludere nel caso in cui il conduttore continui a godere dell’immobile, e al momento in cui gli è chiesto il pagamento del canone, assume l’inutilizzabilità del bene all’uso convenuto, perché in tal modo fa venir meno la proporzionalità tra le rispettive prestazioni. Quindi, in tal caso, per conformare il suo comportamento a buona fede, il conduttore può soltanto chiedere una riduzione del canone proporzionata all’entità del mancato godimento, in analogia al disposto dell’art. 1584 c.c. ovvero può chiedere la risoluzione del contratto (Cass. 13 luglio 2005, n. 14739).

Posto quindi che la norma contenuta all’art. 1578 c.c. non sembra trovare applicazione nel caso di sospensione delle attività commerciali a seguito delle limitazioni imposte d’imperio dal legislatore per fronteggiare l’emergenza da COVID-19, vi è da chiedersi se la risposta all’esigenza di tutela degli interessi del conduttore possa essere individuata in altra norma del codice civile e, segnatamente, nell’art. 1460 c.c. La quale – per dirla in maniera sintetica – legittima la parte di un rapporto di durata a rifiutare l’adempimento della prestazione a cui la stessa è tenuta quando l’altra parte non adempia alla propria.

Da non molto tempo la giurisprudenza (in particolare quella di legittimità) è arrivata a affermare che qualora sussista un grado di utilizzabilità dell’immobile locato, ovvero una “quota” di adempimento del locatore il conduttore potrà sospendere il pagamento del canone ricorrendo all’art. 1460 c.c.

L’art. 1578 c.c. offre al conduttore una tutela contro i vizi della cosa locata esistenti al momento della consegna che presuppone l’accertamento giudiziale dell’inadempimento del locatore ai propri obblighi ed incide direttamente sulla fonte dell’obbligazione; al contrario, l’art. 1460 c.c. prevede una forma di autotutela che attiene alla fase esecutiva e non genetica del rapporto e consente al conduttore, in presenza di un inadempimento del locatore, di sospendere liberamente la sua prestazione, nel rispetto del canone della buona fede oggettiva, senza la necessità di adire il giudice ai sensi dell’art. 1578 c.c (Cass. 25 giugno 2019, n. 16917). Il rifiuto non deve però essere contrario a buona fede.

Per la giurisprudenza sussiste la buona fede se l’inadempimento della controparte abbia influito sull’equilibrio sinallagmatico del contratto così da legittimare la sospensione “reattiva”, ossia una sospensione proporzionata alla offesa ricevuta. Nel caso della locazione commerciale la sospensione del pagamento del canone risponde al criterio di buona fede quando è proporzionale all’inadempimento del locatore, per cui quando il conduttore permane nella detenzione dell’immobile ma in una situazione contraddistinta da un inadempimento inesatto del locatore, la sospensione del pagamento del canone è legittima se parziale, in quanto proporzionale all’altrui mancanza (Cass. 25 giugno 2019, n. 16918). Costituisce, invece, vizio di sussunzione per falsa applicazione dell’art. 1460 c.c. ritenere legittimamente sollevata l’eccezione d’inadempimento da parte di chi, a fronte di un inadempimento solo parziale, rifiuti per intero di adempiere la propria obbligazione (Cass. 29 marzo 2019, n. 8760).

Posto che il rimedio offerto dall’art. 1460 c.c. sarebbe astrattamente ipotizzabile, per dare risposta completa al quesito occorre però domandarsi anche se il valido esperimento dell’eccezione presupponga un inadempimento imputabile del locatore. Quindi se, nel caso in cui la prestazione posta a carico del locatore non sia completa per cause non addebitabili a questo ultimo (come è il caso dell’impossibilità di utilizzo dei locali da parte del conduttore non per fatto del locatore; ma per le limitazioni decretate in via d’urgenza dal legislatore), il conduttore possa ugualmente rifiutare il pagamento del canone.

In questo senso ci è di aiuto quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo la quale l’esercizio dell’eccezione d’inadempimento ex art. 1460 c.c., che trova applicazione anche in riferimento ai contratti ad esecuzione continuata o periodica, prescinde dalla responsabilità della controparte, in quanto è meritevole di tutela l’interesse della parte a non eseguire la propria prestazione in assenza della controprestazione e ciò per evitare di trovarsi in una situazione di diseguaglianza rispetto alla controparte medesima. Sicché, detta eccezione può essere fatta valere anche nel caso in cui il mancato adempimento dipenda dalla sopravvenuta relativa impossibilità della prestazione per causa non imputabile al locatore (cfr., Cass. 19 ottobre 2007, n. 21973; Cass., 16/2/2006, n. 3440;Cass., 22/10/1982, n. 5496; Cass., 6/2/1979, n. 794. E già Cass., 29/10/1962, n. 3076).

Così (in maniera sicuramente estensiva in quanto la questione non è stata posta nei termini sopra enunciati) potrebbe essere interpretata la decisione assunta da Trib. Roma, sez. VI, 15 gennaio 2021 che, partendo dalla considerazione che quando il legislatore emergenziale ha voluto introdurre la possibilità di una rinegoziazione del contratto di locazione ovvero una sua riduzione lo ha fatto esplicitamente (il riferimento va alla locazione di palestre, piscine o impianti sportivi di proprietà di soggetti privati contenuto nell’art.216, comma 3,d.l. 19 maggio 2020, n. 34), ha precisato che per gli altri rapporti di locazione non concernenti palestre, piscine o impianti sportivi di proprietà di privati deve ritenersi che l’art. 3 del d.l. 23 febbraio 2020, n. 6 (secondo cui “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”), non avendo disposto alcun abbuono o riduzione definitiva dei canoni, consente unicamente di ritenere (in una sua larga interpretazione) “temporaneamente giustificati i mancati o ritardati pagamenti relativi ai canoni di locazione” non pagati e maturati durante le restrizioni della normativa anti Covid-19, “fermo restando l’obbligo di pagamento di detti canoni alla cessazione della misura restrittiva, impedendo quindi risoluzioni per inadempimento a convalida di sfratti intimate per canoni scaduti durante le suddette restrizioni qualora le morosità così accumulate vengano sanate una volta cassata l’emergenza con la ripresa regolare delle attività”. Nello stesso senso si è espresso, incidentalmente, Trib. Roma 19 febbraio 2021, n. 3114.

Infatti, per tornare alla natura dell’art. 1460 c.c. l’eccezione di inadempimento è un rimedio necessariamente temporaneo dal quale può derivare una delle tre ipotesi seguenti:

  • se l’inadempimento che l’ha provocato persiste, esso condurrà alla risoluzione del contratto e colui che ha fatto valere l’eccezione sarà liberato dal contratto;
  • se l’inadempimento cessa, anche il diritto di autotutela azionato cessa e il soggetto che si è temporaneamente rifiutato di adempiere la propria prestazione dovrà provvedervi;
  • se l’inadempimento risulta insussistente oppure inidoneo a giustificare l’eccezione, colui che l’ha fatta valere sarà tenuto all’adempimento e sarà esposto all’azione di risoluzione per suo inadempimento.

Ne consegue che l’eccezione di inadempimento mai potrà avere effetti liberatori ma solo sospensivi.

Trib. Roma 19 febbraio 2021, n. 3114, chiamato a pronunciarsi nel merito di una domanda di risoluzione del contratto azionata dal locatore nei confronti di un gestore di una palestra e piscina – il quale aveva omesso il pagamento integrale dei canoni a far data dal mese di febbraio 2020 a quello di luglio 2020 – nell’accoglierla ha ritenuto non giustificabile la totale mancanza di pagamenti da parte del conduttore anche nei mesi in cui era stata consentita, sia pure con limitazioni, la ripresa delle attività sportive, con possibilità per piscine, palestre e impianti sportivi di privati di corrispondere al 50% i canoni locatizi dal mese di marzo a quello di luglio 2020 (ex art. 216, comma 3, Dl 34/2020).

Conclusivamente ritengo che in costanza della normativa emergenziale, che impedisce al conduttore di pienamente godere della utilità economica del contratto di locazione, l’eccezione di inadempimento, ai sensi dell’art. 1460 c.c., sia rimedio da questi attivabile in quanto, ancorché in fattispecie diverse da quella qui in esame, è stato ritenuto sollevabile anche nell’ipotesi di inesatto adempimento delle prestazione a cui il locatore era tenuto, tale da non escludere ogni possibilità di godimento dell’immobile; sempre che – si badi bene – la sospensione del pagamento del canone appaia giustificata, in ossequio all’obbligo di comportarsi secondo buona fede, dall’oggettiva proporzione dei rispettivi inadempimenti, avuto riguardo all’incidenza della condotta della parte inadempiente sull’equilibrio sinallagmatico del contratto, in rapporto all’interesse della controparte (Cass. 29 gennaio 2021, n. 2154).

COVID-19: Le pronunce della giurisprudenza d’urgenza favorevoli al conduttore

Si segnalano di seguito i diversi interventi della giurisprudenza di merito tesi, in particolare, alla tutela del conduttore contro le richieste di incasso dei titoli rilasciati a garanzia del pagamento nel canone all’atto della conclusione del rapporto locatizio:

  • Trib. Verona, con ordinanza in data 1° aprile 2020 (r.g.n. 3071/2020) ha inibito alla banca garante di pagare quanto richiesto dalla locatrice, a titolo di canone locatizio, a fronte della escussione della fideiussione a suo tempo rilasciata e ordinato allo stesso istituto di credito di non rivalersi nei confronti della conduttrice.
  • Trib. Venezia, con ordinanza in data 14 aprile 2020 (r.g.n. 3744/2020) ha ordinato a MPS, fideiussore, di non pagare quanto richiesto dal locatore (ossia il pagamento delle mensilità di mancato preavviso) e comunque di non rivalersi sul conduttore commerciante in dettaglio che aveva cessato l’attività e risolto il contratto a seguito della chiusura dell’esercizio imposta dai provvedimenti governativi per il contenimento e il contrasto dell’epidemia.
  • Trib. Bologna, con ordinanza in data 12 maggio 2020 (r.g.n. 5503/2020) ha ordinato alla conduttrice di non mettere all’incasso gli assegni bancari rilasciati dalla locatrice a garanzia del pagamento del canone in quanto relativo al periodo in cui, a causa delle misure restrittive in vigore per contrasto alla pandemia da Covid 19, era stata ordinata la chiusura dell’attività imprenditoriale.
  • Trib. Rimini, con ordinanza in data 25 maggio 2020 (r.g.n. 1371/2020) ha ordinato alla resistente-locatrice di non mettere all’incasso gli assegni bancari post datati emessi a garanzia del pagamento del canone annuale sul presupposto che l’assenza di provvista era dipesa da inattività della struttura alberghiera a fronte della chiusura forzata dell’attività decretata dal legislatore.
  • Trib. Genova con decreto emesso inaudita altera parte in data 1° giugno 2020 ha ordinato alla locatrice di astenersi dal porre all’incasso le cambiali emesse a garanzia del pagamento del canone a fronte dell’impossibilità di procedere al relativo pagamento per crisi di liquidità dipesa dalle misure restrittive adottare per contrastare l’emergenza da Covid 19.

COVID-19: l’orientamento del Tribunale di Milano

Contra Trib. Milano, 24 luglio 2020 (ud. 24 luglio 2020) che, nello specifico caso di inibitoria del pagamento dei canoni maturati da aprile a maggio 2020 (lockdown) sulla base di un contratto autonomo a garanzia, ha rigettato il provvedimento d’urgenza sul presupposto della non ricorrenza degli estremi dell’exceptio doli generalis non potendosi ritenere “evidente, certa ed incontestabile l’avvenuta estinzione dell’obbligazione di pagamento del canone di locazione sul solo presupposto della sospensione dell’attività commerciale del conduttore imposta dalle misure legislative connesse all’emergenza sanitaria da COVID-19, né potendosi ritenere che l’escussione sia stata effettuata contro ogni legittima ed incolpevole aspettativa altrui”.
Così Trib. Milano, 24 luglio 2020 (ud. 24 luglio 2020) ha precisato: “Omissis. La valutazione degli effetti giuridici delle misure di prevenzione e contenimento connesse all’emergenza epidemiologica sui rapporti contrattuali in corso di esecuzione non può prescindere dall’esame degli interventi legislativi in materia, da cui emerge che il Legislatore ha avuto ben presente il problema del pagamento dei canoni di locazioni commerciali nel periodo da marzo a maggio 2020 ed ha ritenuto di intervenire disciplinando eccezionalmente solo talune ipotesi”.
Diversamente invece Trib. Milano, 21ottobre 2020 che, chiamato a pronunciarsi su una convalida di sfratto per morosità, avviata dal locatore a fronte del mancato pagamento dei canoni relativi ai mesi di marzo-maggio 2020 (lockdown), comunque sostanzialmente sanata banco judicis, si è spinto oltre nell’affermare “quanto meno dubbio che l’importo dedotto nell’atto di intimazione sia dovuto nella sua interezza” alla luce del fatto che l’utilizzazione del bene era stata inibita in forza di ordine dell’autorità avendo ciò comportato “senz’altro una limitazione nel godimento del bene locato non sotto il profilo della sua detenzione (che è rimasta al conduttore), quanto piuttosto della sua utilizzazione secondo la destinazione negoziale, entrambe prestazioni (detenzione e destinazione contrattuale) che rientrano nell’obbligo di mantenere la cosa locata nel corso del rapporto “in stato da servire all’uso convenuto (art. 1575 n, 2) c.c.”.
In questo senso il Tribunale ambrosiano ha rilevato che una rinegoziazione dell’importo del canone – nel senso di una sua temporanea riduzione – avrebbe portato a riequilibrare lo scambio richiedendo al locatore un sacrificio altamente inferiore rispetto a quello a cui il conduttore sarebbe stato soggetto ove fosse tenuto a corrispondere l’intero canone a fronte di una utilità significativamente ridotta; viceversa venendosi a trovare il locatore in posizione di eccessivo vantaggio continuando a ricavare un lucro che verosimilmente non avrebbe ottenuto se l’immobile fosse stato locato nel contesto della situazione del momento (ottobre 2020) atteso il valore ridotto del bene in quel periodo.