In questo articolo approfondisco i principi di diritto espressi dalla Corte di Giustizia nella pronuncia del 18 gennaio 2024, nella causa C‑531/22, in merito al potere del giudice dell’esecuzione di dichiarare d’ufficio la nullità di una clausola abusiva posta all’interno di un contratto concluso da un consumatore ove detta nullità non sia stata dichiarata prima dal giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo (né la sua abusività sia stata contestata dal debitore/consumatore mediante tempestiva proposizione di causa di opposizione a decreto ingiuntivo).

Può, quindi, il giudice dell’esecuzione, in forza dell’articolo 6, paragrafo 1. (secondo cui “Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive”) e dell’articolo 7, paragrafo 1. della Direttiva 93/13 CE (secondo cui “1. Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori. 2. I mezzi di cui al paragrafo 1 comprendono disposizioni che permettano a persone o organizzazioni, che a norma del diritto nazionale abbiano un interesse legittimo a tutelare i consumatori, di adire, a seconda del diritto nazionale, le autorità giudiziarie o gli organi amministrativi competenti affinché stabiliscano se le clausole contrattuali, redatte per un impiego generalizzato, abbiano carattere abusivo ed applichino mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di siffatte clausole”) controllare d’ufficio la sussistenza di una clausola abusiva posta all’interno di un contratto concluso con un consumatore e dichiararla lui stesso nulla ove detta nullità non sia stata dichiarata dal giudice che ha emesso il Decreto ingiuntivo e lo stesso sia divenuto il titolo per l’avvio della procedura esecutiva?

Alla domanda la Corte ha risposto positivamente.

La questione, atteso il principio di uniformità del diritto che sovraintende gli Stati membri dell’Unione europea, ha una sua decisa rilevanza anche, più specificamente, per il diritto domestico e, segnatamente, investe i poteri del giudice dell’esecuzione italiano.

Principi di diritto espressi dalla Corte

La Corte ha determinato che gli articoli 6, comma 1 e 7, comma 1 della Direttiva 93/13/CEE ostano all’adozione di leggi nazionali che impediscano al giudice di valutare autonomamente l’abusività di clausole in un contratto durante un procedimento di esecuzione forzata, qualora tale esecuzione derivi da un ordine di pagamento definitivo.

Ciò se, alternativamente:

  • la normativa dello Stato membro non prevede che tale valutazione avvenga durante la fase di emissione del Decreto ingiuntivo;
  • secondo il diritto dello Stato membro, una tale valutazione si possa svolgere esclusivamente nella fase di opposizione all’ingiunzione di pagamento, però vi sia il rischio reale che il consumatore non radichi l’opposizione:
  • a causa del termine particolarmente breve che ha a disposizione per proporla;
  • per i costi significativi che una opposizione comporterebbe, raffrontati con l’entità del debito oggetto di contestazione;
  • per la mancanza di un obbligo normativo che imponga alla controparte di informare il consumatore circa i diritti allo stesso spettanti.

Il principio di diritto espresso dalla Cassazione

Quattro coeve sentenze della Corte di giustizia Europea, aventi a oggetto la medesima questione, hanno già indotto la Corte di Cassazione a intervenire sul tema. La Cassazione, con sentenza a Sezioni unite n. 9479/2023, ha definito le norme comportamentali che il giudice nazionale è tenuto a applicare, sulla base del diritto processuale vigente, nel caso di fattispecie caratterizzata dalla presenza di crediti traenti origine da un contratto concluso da un consumatore contenente clausole ritenute abusive.

Il ruolo del giudice monitorio

Il giudice del monitorio deve, d’ufficio, esaminare se le clausole del contratto fra consumatore e professionista siano abusive rispetto alla materia del litigio. A tale scopo, si avvale delle informazioni e delle leggi a sua disposizione, che può integrare, come previsto dall’articolo 640 del codice di procedura civile, attraverso il proprio potere di acquisizione di prove. Di conseguenza, può richiedere al ricorrente di presentare il contratto e fornire ulteriori chiarimenti, incluso il ruolo di consumatore dell’indebitato. Qualora l’analisi risultasse troppo complessa per essere condotta nel quadro limitato di tale procedura, come nel caso in cui sia necessario richiedere una perizia, il giudice dovrà respingere la richiesta di ingiunzione.

Il decreto deve, comunque, essere motivato. Nella sostanza, il giudice che accolga l’ingiunzione richiesta è tenuto a dare atto di avere esaminato le clausole contenute nel contratto con il consumatore e di non averle ritenute abusive. Ciò al fine di consentire al debitore/consumatore di valutare, con piena consapevolezza, se impugnare il decreto emesso.

Il ruolo del giudice dell’esecuzione

Ma quale deve essere, invece, il comportamento del giudice dell’esecuzione nel caso in cui questi, investito del dovere di dare esecuzione a un ordine di pagamento già impartito, ravvisi la sussistenza di una clausola abusiva non esaminata dal Giudice del monitorio? E, in relazione alla quale, questo ultimo non abbia nulla motivato?

Non vi è dubbio che l’inattività del giudice dell’esecuzione finirebbe per far gravare sul consumatore (debitore) la violazione dell’obbligo del rilievo officioso della abusività della clausola negoziale a cui il Giudice è tenuto.

Ebbene, secondo la Cassazione, fino al momento della vendita o assegnazione del bene o del credito, il Giudice dell’esecuzione ha il potere/dovere di rilevare d’ufficio l’esistenza di una clausola abusiva che incida sul credito e, una volta che ne abbia rilevato la sussistenza, è tenuto a stimolare tra le parti (creditore e debitore/consumatore) il contraddittorio, nelle forme dell’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., per accertarlo.

Il giudice dell’opposizione potrà sospendere l’esecutorietà del decreto, parzialmente o completamente.