Si parla di patto leonino (vietato dall’art. 2265 c.c.) allorquando i soci di una società di persone o di capitali (qualunque essa sia) dispongono che uno (o più) di essi venga escluso, in modo assoluto e costante, dalla partecipazione agli utili e/o alle perdite della società ovvero da entrambi.

Le ragioni del divieto (e della conseguente nullità) di un accordo di siffatta natura stanno nel fatto che esso altera (e viene a porsi in posizione di incompatibilità con) la causa societaria che, molto sinteticamente, si traduce nel rendere tutti i soci partecipi del rischio di impresa al fine di garantire, nell’interesse generale, un esercizio coretto e avveduto dei relativi poteri.

La nullità del patto leonino: condizioni

Il patto è nullo se l’esclusione è costante e assoluta. Non si ha nullità se essa è limitata nel tempo ovvero volta a prevedere una gradazione della misura di partecipazione agli utili e alle perdite.

Il patto deve poi essere interno al negozio sociale. E questo a prescindere dal fatto che l’accordo sia contenuto nell’atto costitutivo e/o nello statuto di una società ovvero inserito un patto parasociale, comunque, concluso tra i soci.

L’ordinanza della Cassazione

Con l’Ordinanza 1 settembre 2023, n. 25594 la Corte di cassazione, nel ribadire il proprio costante orientamento sul divieto del patto leonino di cui all’art. 2265 c.c. lo ha esteso, astrattamente, anche agli accordi intervenuti tra imprese consorziate.

Tuttavia, ha puntualizzato che non rientra nel divieto di patto leonino un evento estraneo al patto sociale. Nella specie si tratta(va) non di un a patto intervenuto tra imprese consorziate, ma di un “giudicato” formatosi in ordine a un lodo arbitrale pronunciato tra le parti che, a sua volta, aveva statuito sugli effetti di un accordo concluso con terzi da un organo del consorzio in contrasto con la volontà di una consorziata e da lei non ratificato.