La fattura commerciale non contestata e, anzi, annotata nelle scritture contabili dell’imprenditore che l’ha ricevuta vale come prova della sussistenza del rapporto obbligatorio. L’annotazione, con il richiamo alla fattura da cui l’annotazione nasce, costituisce confessione del rapporto giuridico sottostante contro l’imprenditore che vi ha provveduto.

A ribadire il proprio indirizzo è la Cassazione con la sentenza 8 febbraio 2024, n. 3581

La fattura commerciale, un documento contabile obbligatorio

La fattura commerciale è un documento contabile obbligatorio dell’imprenditore. Ciò significa che la fattura deve, per legge, essere emessa da colui che effettua una prestazione, come la cessione di beni o l’erogazione di servizi, allo scopo di attestarne, ai fini contabili e fiscali, l’avvenuta prestazione.

Gli elementi che la fattura deve contenere sono indicati nell’art. 21, DPR 633/72 (che l’ha istituita):

  • data di emissione;
  • numero progressivo che la identifichi in maniera univoca;
  • dati identificati del prestatore o del cessionario;
  • dati del soggetto destinatario, partita IVA, etc.;
  • natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi oggetto dell’operazione;
  • corrispettivo e data del pagamento.

Il successivo art. 22, DPR 633/72 individua, invece, i casi in cui l’emissione della fattura non è obbligatoria.

La fattura nel processo civile.

Sotto il profilo del processo civile, la fattura come rilevato è un documento a formazione unilaterale che la parte che effettuata la prestazione è, per legge, tenuta a emettere senza la partecipazione del soggetto che riceve la prestazione. Nonostante ciò, integra quella prova scritta che l’art. 633. c.p.c. indica come sufficiente ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo (l’art. 633. c.c. così recita: “su domanda di chi è creditore di una somma liquida di danaro o di una determinata quantità di cose fungibili, o di chi ha diritto alla consegna di una cosa mobile determinata, il giudice competente pronuncia ingiunzione di pagamento o di consegna se: – del diritto fatto valere si dà prova scritta”).

Il soggetto che ha, invece, interesse a fare accertare che la prestazione indicata nel decreto ingiuntivo non è stata effettuata o è stata eseguita solamente in parte oppure che, a sua volta, egli stesso vanta un credito nei confronti di colui che ha ottenuto il decreto ingiuntivo da opporre in compensazione a quello azionato con la procedura monitoria, può investire il medesimo giudice del compito di verificare la fondatezza della pretesa creditoria instaurata con il decreto ingiuntivo.

Questo secondo giudizio, che si incardina su quello monitorio, è un ordinario giudizio di cognizione nel quale devono applicarsi le consuete regole processuali in tema di riparto dell’onere probatorio. Il creditore deve provare la fonte negoziale o legale del suo diritto e allegare l’inadempimento della controparte. Il debitore convenuto, invece, è tenuto a provare il fatto estintivo della pretesa fatta valere dal creditore (a esempio, che la prestazione posta a suo carico è stata adempiuta).

In tale (secondo) giudizio la fattura commerciale – che, nella procedura monitoria, era bastevole a suffragare la prova dell’esistenza del credito – proprio perché documento formato esclusivamente da questo ultimo non è più sufficiente a integrare la prova dell’esistenza del rapporto contrattuale sottostante e/o dell’esecuzione della prestazione in essa indicata. Al più ne costituisce mero indizio.

Il che implica per colui che intenda, a ragione, sottrarsi alla pretesa creditoria contro di lui azionata un dovere specifico di contestazione nel processo. La mancata contestazione della fattura dispenserebbe, infatti, il creditore di provare in esso l’esistenza del suo diritto, con conseguente accertamento della sua domanda.

Contestazione che – si badi bene – non deve essere limitata al solo momento del processo; ma la cui esistenza deve essere dal giudice indagata, anche, in epoca precedente, in cui la fattura è stata ricevuta dal presunto debitore.

Gli effetti della omessa contestazione della fattura. L’annotazione nelle scritture contabili dell’imprenditore equivale a confessione.

L’omessa contestazione della fattura o una contestazione tardiva costituisce un valido elemento di prova delle prestazioni in essa indicate, specie nel caso in cui la fattura sia stata accettata dal debitore. La contestazione, invero, non richiede neppure formule sacramentali potendo avvenire, anche, per comportamento concludente.

In questo ultimo senso occorre precisare che i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione possono costituire idonee prove scritte dell’esistenza del credito ivi annotato.

Con la conseguenza che, proprio come reiterato dalla Cassazione con la sentenza in commento (Cass. 8 febbraio 2024, n. 3581), l’annotazione della fattura nelle scritture contabili dell’imprenditore può costituire idonea prova scritta dell’esistenza del credito dal momento che essa, con richiamo alla fattura da cui ha tratto origine, costituisce atto ricognitivo del rapporto sfavorevole del dichiarante stante la sua natura confessoria ex art. 2720 c.c.