Il trust liberale tra vivi, che produce effetti dopo la morte del disponente, non è un atto successorio. Con ordinanza n. 18831/2019 la Cassazione, a Sezioni Unite, ha affrontato ex professo la questione della qualificazione giuridica di un trust costituito per regolare il passaggio generazionale di un’impresa.
Un imprenditore, nell’ambito di una più ampia pianificazione successoria, aveva attribuito a un trust (sottoponendolo al diritto straniero) l’intera partecipazione sociale di un holding industriale, disponendo che i beni del trust dovessero rimanere a sua disposizione finché in vita, per poi essere messi a disposizione delle due figlie (eredi testamentarie), in maniera tra loro paritetica.
Con il fine di favorire la continuità dell’impresa dopo la morte del fondatore, l’imprenditore aveva altresì stabilito che, dinanzi al proposito di una delle due figlie di proseguire l’attività di impresa, il trustee avrebbe dovuto assegnare a questa l’intera partecipazione dell’impresa famigliare, attribuendo all’altra una somma di denaro pari al valore di metà della partecipazione dell’impresa.
L'impugnazione dell’atto e la pronuncia della suprema corte
È insorta controversia sulla congruità della somma attribuita alla sorella uscita dall’impresa famigliare, la quale ha impugnato l’atto con gli strumenti del diritto successorio.
Al fine della determinazione della giurisdizione è stato primariamente necessario stabilire se la partecipazione conferita in trust dovesse ritenersi caduta in successione – con conseguente applicazione delle regole sulla comunione e divisione ereditaria, invocate dall’attrice – ovvero se fosse un bene estraneo al compendio ereditario, con conseguente inapplicabilità delle regole successorie.
Secondo la Corte il trust liberale tra vivi che produce effetti dopo la morte del disponente non è un atto successorio ma è da ricondurre agli atti inter vivos (donazione indiretta): il trasferimento della proprietà dei beni dal disponente al trustee avviene durante la vita del disponente, essendo la morte di questo ultimo solo l’evento che individua il momento di esecuzione dell’attribuzione patrimoniale al beneficiario. I beni in trust non concorrono a formare la massa ereditaria e i beneficiari finali/eredi non ricevono un’attribuzione mortis causa dal disponente.
Le implicazioni dell’ordinanza n. 18831/2019 Sezioni Unite della Cassazione
Nello specifico la Corte ha ravviato che, non vertendosi in materia successoria, la giurisdizione italiana è derogabile in favore dell’arbitro estero.
In termini generali va però osservato che le implicazioni dell’Ordinanza vanno oltre il caso concreto poiché, configurando il trust come un atto che, quand’anche abbia effetti destinati a prodursi dopo la morte del disponente, rientra nell’alveo degli atti inter vivos, implicitamente lo sottrae al divieto dei patti successori (art. 458 c.c.) nei quali, tipicamente, l’attribuzione patrimoniale avviene alla morte del de cuius.