Con la recente pronuncia in commento le Sezioni Unite della Cassazione (Cass. n. 5841/2025) hanno chiarito (definitivamente) le ragioni della validità del c.d. mutuo solutorio ricalcando l’indirizzo giurisprudenziale prevalente (contro quello minoritario) e riconoscendone la sua efficacia come titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c.

Con questo articolo ripercorriamo il percorso logico-giuridico seguito dalla Cassazione a conferma della validità del mutuo solutorio.

 

INDICE

  1. Cos’è il mutuo solutorio?
  2. La Sentenza Cass. Sez. Un. n. 5841/2025

 

1. Cos’è il mutuo solutorio?

Innanzitutto, una precisazione: il mutuo solutorio non è un particolare contratto di mutuo. Non è una figura contrattuale “atipica” e non si distingue dal mutuo ordinario (contratto che ha per oggetto la “consegna” di una somma di denaro, con obbligo di restituzione per il soggetto che la riceve; v. art. 1813 c.c.). Con il mutuo solutorio (o meglio con l’uso del termine “solutorio”) si intende descrivere l’utilizzo particolare delle somme date a mutuo: la particolarità pratica del mutuo solutorio sta nel fatto che le somme erogate vengono impiegate per estinguere una pregressa esposizione debitoria del mutuatario verso la banca mutuante, anziché per soddisfare esigenze future del mutuatario.

Mutuo solutorio e differenze rispetto al mutuo di scopo

Il mutuo solutorio non è (nemmeno) un mutuo di scopo. Nel mutuo di scopo una parte si obbliga a fornire le somme richieste per conseguire il risultato previsto dalla legge (es. espansione industriale), oppure concordato tra le parti. Sicché la parte che prende in prestito le somme date a mutuo si impegna al raggiungimento del risultato previsto. L’impegno diventa, quindi, parte genetica del negozio. Ne costituisce suo presupposto essenziale.

Invece, nel mutuo c.d. solutorio l’impiego della somma (per l’estinzione di passività pregresse) non entra a fare parte del momento “genetico” del rapporto; ma si colloca in un momento (temporale e logico) successivo.

2. La Sentenza Cass. Sez. Un. n. 5841/2025

Il mutuo solutorio è valido e di per sé non è affetto da nullità. Questa, in sintesi, la conclusione a cui sono approdate le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 5841/2025. La vicenda traeva origine da un procedimento esecutivo promosso da una banca sulla base di un contratto di mutuo stipulato per estinguere una precedente esposizione debitoria del cliente. Il giudice dell’esecuzione aveva sollevato dubbi sull’idoneità del titolo contrattuale a fondare l’azione esecutiva, rimettendo la questione della validità del titolo all’attenzione della Suprema Corte. Le Sezioni Unite hanno chiarito che il contratto di mutuo solutorio, in quanto perfezionato validamente, costituisce valido titolo esecutivo ai sensi dell’art. 474 c.p.c.

La Cassazione riconosce piena validità al mutuo solutorio perché non contrario alla legge, perché le somme erogate, ancorché non consegnate materialmente al mutuatario, entrano comunque nella disponibilità giuridica di questo ultimo, tanto è vero che l’impiego fattone (a estinzione di passività pregresse) ha l’effetto di purgare il patrimonio del mutuatario di una posta negativa; perché lo stesso utilizzo delle somme (a estinzione di pregresse passività) costituisce uno dei possibili impieghi del mutuo e dimostra che il mutuatario ha potuto disporre delle somma data in prestito.

Così decidendo la Cassazione supera (definitivamente) l’orientamento minoritario che vorrebbe, invece, negare validità al mutuo solutorio per il fatto che, essendo le somme date a prestito destinate immediatamente a saldare esposizioni debitorie pregresse in essere verso la stessa banca mutuante, non si realizzerebbe quella consegna effettiva richiamata dalla norma (art. 1813 c.c.). In sostanza, le somme erogate non entrerebbero mai nel patrimonio del mutuatario. Quello che in pratica si verrebbe a definire – secondo questo indirizzo giurisprudenziale – sarebbe una mera operazione contabile (di segno opposto) sul conto corrente del mutuatario, con il solo effetto di un allungamento del termine di adempimento dell’obbligazione originaria.

La Cassazione ha però chiarito che, ai fini della validità del mutuo (solutorio), non è necessario che le somme date in prestito vengano materialmente consegnate al mutuatario; è invece sufficiente che entrino nella sua disponibilità giuridica. E ciò avviene nel momento esatto in cui le somme entrano nel conto corrente del mutuatario per effetto del solo accredito. A nulla rilevando il fatto che la banca se ne riappropri (in un momento logico-temporale successivo) per estinguere una passività antecedente. Con l’accredito delle somme sul conto corrente del mutuatario si verifica, quindi, quella disponibilità giuridica voluta dalla norma; sicché il contratto può dirsi validamente concluso.

Certo questo non significa che il contratto non possa nascondere una finalità illegittima quale quella, di violare la par condicio dei creditori oppure di costituire un mezzo anomalo di pagamento. Ad esempio perché utilizzato per aggiungere una garanzia reale (ipoteca) a una obbligazione che (in principio) ne era priva. Ma questo rileva non sotto il profilo della validità genetica del contratto (che rimane tale); quanto, piuttosto, in termini di inefficacia successiva dell’atto che potrà essere fatta valere in sede giudiziale sotto forma di revocatoria (ordinaria o fallimentare), sussistendone i presupposti.

Ferma restando, ovviamente, la tutela risarcitoria in capo al soggetto mutuante ove si accerti la sua colpevole partecipazione al dissesto del mutuatario.