Il contratto d’affitto di azienda è lo strumento giuridico adottato da chi intenda cedere temporaneamente la gestione operativa della azienda (o di parti di essa). Di seguito presentiamo un sunto (senza pretesa di completezza) sulla disciplina applicabile, concentrando la nostra attenzione sulla sentenza resa dalla Corte di Appello di Napoli, 1° febbraio 2024, n. 416 relativamente agli effetti che conseguono alla mancanza dei titoli abilitativi all’esercizio dell’attività concessa in affitto.

INDICE

  1. L’affitto di azienda
  2. Il contratto di affitto di azienda richiede la forma scritta?
  3. Le parti devono attenersi a una durata minima del rapporto?
  4. La mancanza dei titoli abilitativi. Il particolare caso della sentenza della Corte di Appello di Napoli del 2024

 

1. L’affitto di azienda

L’azienda è definita dal legislatore (art. 2555 c.c.) come il “complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”.

L’affitto di azienda consiste in un contratto attraverso il quale il titolare (concedente) concede a terzi (affittuario) l’uso temporaneo della propria azienda, ricevendo in cambio un canone periodico.

Dunque, sussiste affitto di azienda se:

  • la cosa concessa in godimento costituisce un universitas di beni (immobili, beni strumentali, contratti di lavoro, di servizio, di fornitura, segni distintivi) organizzati in vista di uno specifico scopo produttivo dell’impresa (azienda); e
  • tali elementi – aventi una funzionalità già impressa dal concedente (titolare) – siano proiettati alla loro gestione da parte dell’affittuario.

In sostanza, ciò che rileva ai fini della sussistenza di un contratto di affitto di azienda è l’esistenza di un complesso aziendale già organizzato dal proprietario e preordinato allo svolgimento di una attività di impresa. Non è invece elemento necessario del contratto l’esercizio attuale di detta attività, in quanto è sufficiente che il complesso dei beni sia idoneo, di per sé, a consentirne l’inizio.

 

Non esiste una disciplina specifica e unitaria in materia di affitto di azienda. A essa si applicano le disposizioni del Codice civile inerenti il contratto di cessione di azienda in punto di subentro del cessionario (nella specie, affittuario) nei contratti (in corso) stipulati per l’esercizio dell’attività di impresa (art. 2558 c.c.), dei crediti (art. 2559 c.c.), dei debiti (art. 2560 c.c.), quella che, in relazione all’usufrutto dell’azienda (art. 2561 c.c.), esplicita i doveri di gestione da parte dell’usufruttuario (qui, affittuario) e, in generale, quelle inerenti il contratto di locazione. L’affittuario deve gestire l’azienda senza alterare la destinazione dei beni che la compongono, preservandone il valore economico e commerciale; è dunque suo dovere sostenere le spese necessarie a tale scopo. È sua responsabilità poi agire con diligenza professionale e rispettare le normative vigenti nel settore specifico di riferimento.

Trattandosi di contratto “a tempo”, l’azienda deve essere restituita alla scadenza. Le differenze tra le consistenze di inventario del compendio aziendale alla data di inizio del rapporto e quelle alla fine di esso è regolata “in denaro”, sulla base dei valori esistenti alla data della cessazione. Ne discende la necessità della previsione di un inventario iniziale dei beni che compongono l’“azienda”. Per “data finale” del rapporto si intende quella della sua cessazione (contrattuale) e non quella di effettivo rilascio al concedente.

La mancata restituzione dell’azienda alla data di cessazione del periodo di durata comporta la responsabilità dell’affittuario ai sensi dell’art. 1591 c.c., norma dettata per la locazione commerciale. Quindi l’affittuario, in mora nella restituzione, sarà tenuto a pagare al concedente i canoni concordati fino alla data di effettiva riconsegna dell’azienda. Salvo il maggior danno.

A tale responsabilità non si sottrare la curatela fallimentare, anche, nel caso in cui il contratto di affitto si sia risolto prima della apertura della procedura fallimentare e la mancata tempestiva restituzione del compendio al concedente non sia imputabile a dolo o colpa del curatore; ma dipendente da necessità contingenti o da interessi della “massa fallimentare”. L’obbligazione di pagamento che ne deriva è di natura risarcitoria e posta a carico del fallimento.

2. Il contratto di affitto di azienda richiede la forma scritta?

Sfatiamo un mito (o percepito come tale da chi non è “addetto ai lavori”). Non esiste il dovere giuridico di stipulare il contratto in forma scritta, ai fini della validità (nullità) del contratto; ciò a meno che la necessità di rispettare la forma scritta derivi dalla natura dei beni che compongono il compendio aziendale (es. perché ne sono oggetto beni immobili e la durata del rapporto è convenuta per un arco temporale maggiore di 9 anni).

In senso contrario non rileva la previsione contenuta all’art. 2556 c.c. secondo cui i contratti che hanno per oggetto il godimento dell’azienda devono essere redatti con atto pubblico (notarile) o scrittura privata autenticata (da notaio). L’atto pubblico e la scrittura privata autenticata sono indispensabili unicamente per l’iscrizione dell’atto nel Registro delle imprese. E ciò ai fini della sola opponibilità a terzi (pubblicità dichiarativa).

Da quanto sopra ne deriva, come corollario, che laddove il contratto di affitto di azienda si può concludere con libertà di forma (e non necessariamente per iscritto), la sua stessa risoluzione, intervenuta per accordo tra le parti (consensuale), non richiede la forma scritta; ma potrà risultare da comportamenti taciti e concludenti.

3. Le parti devono attenersi a una durata minima del rapporto?

A differenza di quanto è stabilito dalla legislazione speciale in materia di locazione commerciale, non esistono norme di legge che impongono una durata minima del rapporto.

La durata di esso è rimessa all’autonomia delle parti ed è determinata dagli obiettivi aziendali. È però vero che la durata del rapporto deve essere “congrua” rispetto alla attività che si intende svolgere, tenendo conto anche degli investimenti iniziali necessari per rendere operativa l’azienda. È quindi rimessa all’attenzione delle parti la previsione di condizioni per proroghe o rinnovi al fine di evitare controversie sulla prosecuzione del rapporto oltre il termine di scadenza indicato. Trattandosi di contratto concluso tra operatori commerciali e oggetto di negoziazione non trovano applicazione le norme in materia di clausole vessatorie di cui agli artt. 1341 e 1469-bis c.c.

4. La mancanza dei titoli abilitativi. Il particolare caso della sentenza della Corte di Appello di Napoli del 2024

Ove necessari per l’esercizio dell’attività di impresa concessa in affitto, il concedente in affitto è tenuto ad assicurare la sussistenza dei titoli abilitativi. Si tratta di garanzia che può trovare titolo nel contratto e, in generale, nella legge. Nello specifico delle disposizioni del codice civile (applicabili per via analogica anche al caso di affitto di azienda) contenute all’art. 1575 e 1578 c.c.

La sentenza in commento (Corte di Appello Napoli,1° febbraio 2024, n. 416) affronta proprio il tema della mancanza di autorizzazioni all’esercizio dell’attività di impresa oggetto di affitto di azienda e le conseguenze giuridiche.

Il caso concreto preso in esame dalla Corte di Appello

Nella specie si tratta di contratto di affitto d’azienda stipulato tra due società concedenti, poi fuse per incorporazione, e una società affittuaria, avente a oggetto attività operative nel settore turistico, in particolare campeggio con balneazione e ristorazione. Nel corso della durata contrattuale l’affittuaria sospendeva il pagamento di alcuni canoni, lamentando la mancata consegna, da parte delle concedenti, di taluni titoli amministrativi e autorizzazioni necessarie per l’esercizio dell’attività.

Azioni giudiziali intraprese dalle parti

In risposta, le concedenti adivano l’autorità giudiziaria per ottenere la risoluzione del contratto di affitto, deducendo che il mancato pagamento dei canoni costituisse un grave inadempimento interamente imputabile alla affittuaria. Nel contempo, era richiesto il pagamento dei canoni maturati e di quelli futuri fino alla restituzione del complesso aziendale.

Di contro, l’affittuaria contestava l’inadempimento delle concedenti agli specifici obblighi contrattuali e, segnatamente, l’assenza di certificazioni, concessioni e autorizzazioni occorrenti per l’esercizio dell’attività. Chiedeva dunque la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni, sia emergente (spese sostenute) sia a titolo di lucro cessante (mancati guadagni), derivanti dall’impossibilità di avviare la stagione turistica.

Decisione di primo grado

All’esito dell’istruttoria il Tribunale di Torre Annunziata, con sentenza n. 1209 del 28 luglio 2020, dichiarava risolto il contratto ritenendo grave l’inadempimento dell’affittuaria per il mancato pagamento dei canoni. Contestualmente, però, riconosceva all’affittuaria il diritto al risarcimento dei danni derivanti conseguenti al mancato adempimento dell’obbligo contrattuali (e legale) di non avere reso la struttura idonea al pieno svolgimento dell’attività di impresa.

Decisione della Corte d’Appello di Napoli

Interposto appello, la Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza in commento (1° febbraio 2024 n. 416), ha precisato che, nell’affitto di azienda, l’esistenza dei titoli amministrativi necessari per lo svolgimento dell’attività costituisce un requisito essenziale per l’uso pattuito.

In assenza di norme specifiche sull’affitto d’azienda, trovano applicazione le norme sulla locazione, in particolare gli articoli 1575 e 1578 c.c. La prima dispone che il locatore è tenuto a consegnare al conduttore e mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto. La seconda legittima il conduttore alla risoluzione del contratto o alla riduzione del corrispettivo della locazione ove i difetti riscontrati siano tali da diminuire in misura apprezzabile l’idoneità all’uso convenuto.

Il rimedio risolutorio legittima poi l’affittuario a sospendere il pagamento del canone (facendo valere l’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c.) anche nell’ipotesi di inesatto adempimento del concedente quando, però, questo sia tale da non escludere ogni possibilità di godimento del bene.

Proprio facendo affidamento sul principio da ultimo citato, la Corte di Appello di Napoli ha rilevato che l’inadempienza, pur accertata in capo alle concedenti (assenza di titoli abilitativi), non è stata tale da avere una incidenza definitiva sul rapporto contrattale (ma limitata a due annualità del più ampio rapporto), per cui non è stata tale da compromettere, in maniera irreversibile, l’equilibrio contrattuale (destinato a svilupparsi oltre nel tempo). Da qui, l’infondatezza dell’appello – proposto in via incidentale, dalla affittuaria – e teso all’accoglimento della domanda di risoluzione del rapporto per grave inadempimento delle concedenti; fondata, invece, quella di risarcimento del danno attesa la sua autonomia funzionale rispetto alla prima.