Le fideiussioni omnibus sono uno dei contratti più comuni nei rapporti bancari, ma anche uno dei più discussi quando si parla di presunte violazioni delle norme sulla concorrenza (legge n. 287/1990 a livello nazionale, art. 101 TFUE in ambito comunitario). A partire dal provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia si è sollevato un ampio dibattito in merito alla nullità del contratto o di alcune delle clausole standard adottate dalle banche in conformità ai modelli predisposti dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana) e ritenute in contrasto con la disciplina antitrust.

Di seguito ho cercato di esaminare i principali snodi della questione, focalizzandomi su:

  1. la tipologia della nullità (si tratta di nullità assoluta o delle sole clausole standard) e l’impatto sul contratto di fideiussione;
  2. l’estensione del regime di nullità alle fideiussioni specifiche, che si pongono al di fuori dello schema “omnibus”;
  3. la cosiddetta “prova privilegiata” fornita dal provvedimento di Banca d’Italia del 2005 e quella che io definisco “l’incognita temporale” post 2005.

 

INDICE

  1. Origine del dibattito: il provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia
  2. Nullità assoluta o relativa?
  3. Fideiussione omnibus e fideiussione specifica: estensione del regime di invalidità?
  4. Conclusioni. La mia opinione

 

1. Origine del dibattito: il provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia

Fino al 2006 la Banca d’Italia deteneva competenze specifiche in materia di concorrenza nel settore creditizio, oggi trasferite in larga parte all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM). Nel corso di tale periodo è divenuto noto agli operatori di diritto il provvedimento n. 55/2005 con cui Banca d’Italia ha censurato, perché ritenute lesive dell’art. 2., Legge n. 287/1990 e dell’art. 101 TFUE, alcune clausole comuni ai contratti di fideiussione omnibus presenti sul mercato e derivati dal modello standard predisposto, per i propri consociati, dall’Associazione Bancaria Italiana (ABI).

In particolare, sono state sanzionate quelle clausole (riproduttive degli articoli 2, 6 e 8 dello schema ABI) che prevedono:

  1. l’impegno del fideiussore di “rimborsare alla banca le somme che dalla Banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo” (art. 2);
  2. che “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimo o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i termini previsti dall’art. 1957 Cod. Civ.” (art. 6);
  3. che “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate” (art. 8).

Queste previsioni, riprodotte in modo seriale in innumerevoli (per non dire la maggior parte dei) contratti bancari circolanti sul mercato fino al 2005 (e invero anche dopo molto tempo dalla emissione del provvedimento sanzionatorio di Banca d’Italia), sono state ritenute (e a ragione) il frutto di una intesa “a monte” tra istituti di credito, vietata da Banca d’Italia perché contenente una illegittima uniformazione delle condizioni contrattuali offerte dagli istituti di credito a tutti coloro (imprenditori e consumatori) che avessero la necessità di accedere al credito; di fatto distorsiva del mercato.

Il quadro normativo nazionale ed europeo

La Legge n. 287/1990 rappresenta un pilastro nella regolamentazione della concorrenza e del mercato e pone particolare enfasi sul divieto di intese restrittive. L’articolo 2, comma 2, lettera a, specifica il divieto di accordi tra imprese che limitano notevolmente la concorrenza nel mercato nazionale. Questi accordi possono includere, tra le altre pratiche, la manipolazione dei prezzi di vendita o d’acquisto e altre condizioni contrattuali, rendendo tali intese automaticamente nulle a tutti gli effetti, come stabilito dall’ultimo comma dell’articolo.

Parallelamente, l’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) estende questi principi al contesto più ampio del mercato interno europeo, dichiarando incompatibili e vietati tutti gli accordi tra imprese che possono pregiudicare il commercio tra Stati membri e che mirano a impedire, restringere o distorcere la libera concorrenza. I suddetti accordi sono considerati nulli di pieno diritto.

2. Nullità assoluta o relativa?

Una volta accertato che dette clausole si pongono in contrasto con le norme antitrust, occorre chiedersi se la nullità travolga l’intero contratto fideiussorio (cd. nullità assoluta) oppure soltanto le singole clausole coinvolte (cd. nullità relativa). Le conseguenze pratiche sono, infatti, di non poco momento.

Nel tempo, dottrina e giurisprudenza hanno abbracciato approcci diversi, aggiungendo al quadro anche il tema della tutela risarcitoria (o restitutoria), qualora il pregiudizio subito si fosse configurato come danno da illecito concorrenziale, a prescindere dall’invalidità del contratto.

Il principio di conservazione degli atti negoziali (art. 1419 c.c.) ha tuttavia indotto la giurisprudenza prevalente a propendere per la nullità relativa: le disposizioni illecite vengono espunte, ma la fideiussione continua a produrre effetti.

Viceversa, la nullità assoluta ricorre soltanto se il fideiussore riesca a dimostrare che in assenza di dette clausole il contratto fideiussorio non sarebbe stato stipulato.

L’orientamento della Cassazione: le Sezioni Unite del 2021

La Corte di Cassazione ha più volte ribadito la prevalenza del regime di nullità relativa, spiegando che il contratto conserva efficacia per la parte non in contrasto con le norme imperative. A tale impostazione aderisce, definitivamente, la sentenza a Sezioni Unite n. 41994/2021, in cui il giudice di legittimità ha evidenziato che solo la dimostrata volontà essenziale delle parti di vincolare la garanzia a quelle determinate clausole potrebbe condurre alla nullità assoluta.

Corollario di tale pronunciato sono la rilevabilità d’ufficio di detta nullità da parte del giudice, nei limiti stabiliti dalla giurisprudenza della Cassazione (Cass. sez. Unite, n. 26243/2014 e Cass. sez. Unite, n. 26242/2014; Cass. n. 16501/2018), e l’imprescrittibilità dell’azione di nullità e la proponibilità della domanda di ripetizione d’indebito ex art. 2033 c.c. laddove ne ricorrono i presupposti, nonché dell’azione di risarcimento dei danni.

3. Fideiussione omnibus e fideiussione specifica: estensione del regime di invalidità?

In principio, la “bocciatura” della Banca d’Italia ha riguardato lo schema standard ABI per la fideiussione omnibus. Tuttavia, molti istituti hanno impiegato (e, invero, anche per molto tempo dopo l’emissione del provvedimento sanzionatorio) clausole analoghe, anche, in contratti di garanzia (fideiussioni specifiche) limitati a singole operazioni di finanziamento.

Di qui la questione: la nullità riguarda solo il modello di fideiussione omnibus (sanzionato espressamente da Banca d’Italia), oppure si estende anche ai contratti con cui vengono garantite operazioni di accesso al credito specifiche?

La tesi “restrittiva”

Secondo un filone interpretativo, essendo il provvedimento sanzionatorio rivolto alla sole fideiussioni omnibus, la nullità non può che riguardare i contratti a cui l’istruttoria di Banca d’Italia si è rivolta (fideiussioni omnibus) e non può essere estesa a quelli sottoscritti per rilasciare garanzie diverse e limitate.

La tesi “estensiva”

Altri ritengono che, se le clausole dichiarate lesive della libera concorrenza (e sanzionate da Banca d’Italia) sono presenti in un contratto di fideiussione diverso da quello verso cui si è rivolta l’istruttoria di Banca d’Italia (omnibus), la sanzione della nullità dovrebbe trovare ugualmente applicazione.

Dunque, qualunque fideiussione (non necessariamente omnibus), che replichi le condizioni censurate da Banca d’Italia, sarebbe parimenti viziata.

La mancanza di un indirizzo giurisprudenziale uniforme

Sul punto manca un indirizzo giurisprudenziale unitario.

Se da una parte vi è chi ritiene che, poiché il provvedimento di Banca d’Italia n. 55/2005 riguarda espressamente il modello di fidejussione omnibus diffuso da ABI tra gli istituti di credito, le conclusioni tratte non possono estendersi, anche, alle fidejussioni specifiche; dall’altra vi è una giurisprudenza (crescente) che afferma che ciò che comporta la nullità dei contratti “a valle” di una intesa restrittiva “a monte” non è tanto l’ascrivibilità del contratto alla fattispecie esaminata dall’Autorità̀ di vigilanza, quanto piuttosto la riproduzione, in maniera standardizzata, delle tre clausole ritenute violative della concorrenza.

4. Conclusioni. La mia opinione

Personalmente propendo per la seconda interpretazione in quanto ciò che conduce alla nullità sanzionatoria (sancita da Banca d’Italia) è la ravvisabilità di un collegamento funzionale tra l’intesa “a monte” tra gli istituti di credito (accertata da Banca d’Italia) e l’atto negoziale che si pone “a valle” di essa e che diviene, essa stessa, mezzo per violare la concorrenza.

In questo contesto non ha senso (e trovo limitativo) fare un distinguo tra fideiussioni (omnibus o specifiche) che sono identiche sotto il profilo sostanziale e differenti, solamente, per l’ampiezza della obbligazione garantita.

L’unica (vera) differenza è sotto il profilo probatorio: perché non potrà valere, per le fideiussioni specifiche, la prova “privilegiata” data dal provvedimento di Banca d’Italia del 2005 (relativo alle sole fideiussioni omnibus); ma la partecipazione della banca a una intesa anticoncorrenziale “a monte”, di cui la presenza, nel contratto di fideiussione “a valle”, costituisce espressione, dovrà essere fornita in dettaglio. In ciò dimostrando che l’istituto di credito emittente la fideiussione, al momento della stipula di essa, sta(va) partecipando a una intesa restrittiva della libera concorrenza.